mercoledì 20 luglio 2016

Terrorismo e disintegrazione mediorentale

Terrorismo e disintegrazione mediorientale




Il Medio Oriente continua ad infiammarsi: procede la lotta su più fronti contro l’IS ma siamo ancora lontani dalla fine del conflitto. Iraq e Siria sono frammentati e la più grande sfida del futuro sarà la pacificazione etnico-religiosa della regione. In difficoltà in casa, l’IS fa sentire i propri colpi di coda altrove: dal mondo islamico all’Occidente, che si tratti di “lupi solitari” convertiti all’estremismo o di cellule jihadiste (spesso cresciute e pasciute nelle metropoli occidentali). Molti in Occidente cadono nella paura dello “scontro di civiltà” e in Italia tornano di moda gli scritti di Oriana Fallaci.

Parlare di uno “scontro di civiltà” è però sbagliato nonché funzionale alla propaganda jihadista: più se ne parla più lo si fomenta di fatto. Lo storico Franco Cardini ci ricorda che l’Islam non conosce autorità di tipo ecclesiale abilitate a parlare a nome di tutte le comunità islamiche, che sono di fatto autocefale[i] ed è bene tenere presente che la maggior parte delle vittime del terrorismo islamico sono esse stesse musulmane. Massimo Campanini, storico del mondo islamico, fa notare come la lotta interna “civile” scatenata dalle organizzazioni estremiste e terroriste sia essenzialmente anti-slamica, proprio perché scatena una “fitna” intesa come guerra civile tra islamici[ii]. Inoltre – come ho avuto modo di argomentare altrove[iii] –  nel subbuglio mediorientale le questioni geopolitiche e geoenergetiche prevalgono sul pur influente discorso settario. La partita iraniano-saudita è essenzialmente geopolitica e spiegazioni di tipo esclusivamente “culturale” non riescono a mettere in luce le complesse dinamiche regionali e il gioco di alleanze che ne consegue.

Quale è stato il ruolo dell’Occidente? La frammentazione politico-religiosa dell’Iraq ha antiche origini ma è stata certamente ravvivata e fomentata dalla sconsiderata e criminale guerra del 2003. Il rapporto Chilcot ha fermamente condannato l’intervento e l’operato di Blair (e Bush), mettendo in luce sia i presupposti sbagliati che le conseguenze prevedibili. Cose note da anni, ma finalmente è possibile leggerle nero su bianco sulla stampa internazionale. La guerra in Iraq è stata certamente una catastrofe: ha ravvivato lo scontro interreligioso e settario, ha distrutto un paese provocando centinaia di migliaia di morti e profughi e ha posto le basi per la nascita dell’IS. Senza guerra oggi non ci sarebbe il fantomatico “Stato Islamico”: la storia non si fa con i “se” ma è bene mettere in evidenza le enormi responsabilità di chi  –  se non in tribunale – sarà “processato” dagli storici del futuro.
Non bisogna però cadere nella tentazione di attribuire all’Occidente tutto ciò che accade da quelle parti. Le responsabilità delle potenze occidentali sono enormi ma non sono gli unici fattori determinanti. L’estremismo islamico e la relativa interpretazione ultra-conservatrice della religione sono figli del fallimento della “Nahda” (il cosiddetto riformismo islamico affermatosi a partire dal XIX secolo) e del fallimento del nazionalismo panarabo, peraltro osteggiato in ogni modo dalle potenze occidentali.

Le potenze occidentali – Usa in testa – hanno utilizzato il jihadismo per i propri fini geostrategici (si pensi alla lotta antisovietica in Afghanistan, al sostegno ai ribelli libici e siriani; alla sottovalutazione –   quando non lo si difendeva espressamente –  del terrorismo ceceno). Esiste però una componente radicale all’interno del mondo islamico, influenzata dal wahabismo saudita che è tale al di là dell’Occidente, così come lo stesso Islam Politico in generale. L’IS non è  una creazione a tavolino di alcune potenze (come alcuni sostengono) né oggi una pedina dei sauditi, che lo considerano un “male minore” e lo tollerano fintanto che tiene impegnati i propri nemici al di fuori del Regno (preferendogli altri gruppi estremisti più facili da controllare).

La guerra in Iraq e il supporto all’internazionalismo jihadista contro la Siria di Assad –  che ha visto unite potenze occidentali e monarchie del Golfo –  sono certamente tra le cause primarie della disintegrazione siro-irachena (un memorandum firmato da 51 diplomatici statunitensi ha addirittura criticato la politica di Obama contro Assad, considerata troppo “attendista”![iv]). 

Il giornalista Fulvio Scaglione nel suo recente libro dal forte titolo metaforico “Il patto con il diavolo” (Bur, 2016) mette molto bene in luce i rapporti tra potenze occidentali ed Arabia Saudita, dalla quale fondi privati e organizzazioni cosiddette “benefiche” contribuiscono largamente al finanziamento dei gruppi estremisti e terroristi. Ma gli affari sono affari e le potenze occidentali continuano a chiudere un occhio. Come si può pensare però di sconfiggere il terrorismo se non si colpiscono le fonti di finanziamento e se “noi” europei non rivediamo le nostre priorità in Medio Oriente (e non solo)?
Federico La Mattina



[i] Cfr. F. Cardini, Il califfato e l’Europa. Dalle crociate all’Isis: mille anni di paci e guerre, scambi, alleanze e massacri, Novara, Utet, 2016, p. 237.
[ii]  http://www.tpi.it/mondo/africa-e-medio-oriente/massimo-campanini-fondamentalismo-islamico-isis
[iii] Cfr. F. La Mattina, Libia, Siria, Ucraina: una critica del discorso dominante, in “MarxVentuno” 1-2 2016, pp. 137-160.
[iv] http://www.nytimes.com/2016/06/17/world/middleeast/syria-assad-obama-airstrikes-diplomats-memo.html?_r=0

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