sabato 13 febbraio 2016

Il ruolo della Russia nel conflitto siriano

- EDIZIONE STRAORDINARIA -

Il ruolo della Russia nel conflitto siriano


La situazione odierna dello scacchiere mediorientale appare giorno dopo giorno sempre più complicata e continuamente soggetta a cambiamenti. Il conflitto siriano e la presenza del sedicente Stato Islamico rende sempre più difficili  soluzioni poltiche alla stabilità nella regione. I recenti negoziati sulla Siria, condotti dall’inviato delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura, si sono rivelati fallimentari, dove le parti in causa si sono accusate a vicenda senza mai arrivare ad un accordo. Il risultato è stato che, negli ultimi giorni, la città di Aleppo è stata assediata dall’esercito di Assad, coperto dai raid aerei russi, facendo arretrare considerevolmente i ribelli. Ad oggi, le forze ribelli, al cui interno sono presenti formazioni legate ad Al-Qaeda come Jabhat al Nusra, ( differente dallo Stato Islamico che rimane asserragliato nei territori conquistati tra Siria ed Iraq ) appaiono considerevolmente isolate e con scarse possibilità di riprendere la città di Aleppo, fino ad adesso città contesa e simbolo della resistenza al regime di Assad, e snodo strategico per i collegamenti con la Turchia, principale alleato delle forze ribelli in campo. La capitolazione di Aleppo, rappresenterebbe una svolta nel conflitto siriano, a favore di Assad e dei suoi alleati in campo quali la Russia, l’Iran e le milizie sciite di Hezbollah.[1] Ma il vero alleato di cui Assad ha potuto beneficiare, alla luce degli ultimi successi militari sul campo, è sicuramente Vladimir Putin, il quale agli occhi dell’Occidente appare oggi come il più interventista nel contrasto allo Stato Islamico in  Siria e in Iraq.

La Russia di Putin, combatte da sempre qualsiasi formazione terroristica di matrice islamica, per il fatto che, molte di esse sono presenti in alcune regioni russe, come la Cecenia e il Nord del Caucaso, da dove diversi foreign fighters hanno arricchito le fila dell’esercito dello Stato Islamico. La Russia  ha anche pagato le conseguenze di questo interventismo, quando un suo aereo di linea, con a bordo 224 passeggeri, precipita in territorio egiziano per un’esplosione a bordo, rivendicata  dai terroristi dello Stato Islamico della Provincia del Sinai. La Russia, comincia i suoi bombardamenti in Siria il 30 Settembre 2015, schierandosi apertamente col regime di Bashar al Assad, uno dei suoi principali partner commerciali e strategici e dichiarando guerra alle due forze in campo opposte ad Assad, ma anche in conflitto fra loro, che sono l’Esercito Libero Siriano ( che al suo interno contiene Jabhat al Nusra ) da una parte, e lo Stato Islamico dall’altra. Tuttavia, diversi analisti ed attivisti rivelano che, gli strike aerei russi, hanno colpito in maniera sproporzionata obiettivi ribelli non jihadisti, allo scopo di sostenere l’avanzata delle forze di Assad. Il sostegno russo ad oggi si è infatti rivelato vincente, ma a quale reale scopo? Qualora la città di Aleppo ricadesse in mano al regime, Putin potrebbe ottenere numerosi vantaggi. Infatti l’obiettivo principale della coppia Putin-Assad è quello di riconquistare la più sviluppata e popolata Siria occidentale e costiera. Questo permetterebbe così a Putin di riottenere le proprie basi, sia navali che aeree, e ad Assad di controllare la parte occidentale del paese lasciando agli americani il difficile compito di combattere lo Stato Islamico ad est, dove è molto più potente. Al momento il piano sta funzionando.[2]

Tuttavia, per il Cremlino, la Siria è importante ma è parte di un più grande disegno strategico. Lo scopo ultimo di Vladimir Putin è quello di restituire nuovamente alla Russia lo status di superpotenza mondiale. La Siria rappresenta parte di questo disegno. E l’intensificarsi dei raid ad Aleppo contro le forze ribelli ne sono la prova. Una vittoria ad Aleppo avrebbe inoltre un effetto positivo per la politica interna in Russia, che oggi fa i conti con la crisi economica che sta piano piano abbassando gli standard di vita ed erodendo i redditi reali. Appoggiato e protetto da  fedeli media di stato, con uno stretto controllo del sistema politico e la mancanza di una vera opposizione, Putin gode di un tasso di gradimento dell’80% della popolazione. La narrazione della guerra in Siria, portata avanti dai media di stato, costituirebbe un’utile distrazione per il popolo, rinforzando in esso l’idea di una Russia tornata nuovamente sul palcoscenico internazionale come grande potenza, sostituendo le percezioni di ansia sociale con idee di unità e supporto verso le autorità, sostiene il sondaggista indipendente, Stepan Goncharov,  del Levada Center.[3] Anche se parte della popolazione percepisce quest’impegno militare come una guerra in un paese distante che non le appartiene, mettendo a rischio le proprie forze in campo. Lo scopo di Putin, tuttavia è ben delineato e orientato a conseguire una vittoria militare considerevole in Siria, al fine di restituirla ad Assad. Da quando è appoggiato dai russi, il presidente siriano è sempre meno incline a trattare con i ribelli, e sempre più restio a fare concessioni nei loro confronti, proprio perché la carta militare si rivella adesso vincente. Lo dimostra il rinvio dei negoziati sulla Siria a Ginevra che al momento non mostrano alcun progresso per una soluzione politica al conflitto.

Le forze ribelli siriane dall’altra parte si sentono invece tradite dai loro sponsor internazionali. Ed il motivo sarebbe perché al loro interno continuano ad avere alleanze di comodo con le formazioni qaediste di Jabhat al Nusra e possibili infilitrazioni dello Stato Islamico. Gli Stati Uniti infatti, sempre più vicini all’Iran che all’Arabia Saudita, hanno recentemente negato l’invio di contraerea militare alle formazioni ribelli, per timore che ricadesse nelle mani dei jihadisti di Al Nusra o dello Stato Islamico. Ed episodi del genere sono già accaduti, con numerose armi e mezzi militari adesso in dotazione del califfato. Tuttavia, nei giorni scorsi, la Turchia, principale alleato dei ribelli anti-Assad e con una posizione ambigua nei confronti di Daesh, ha annunciato che potrebbe procedere in tempi imminenti ad una “invasione della Siria”. I dettagli di questa operazione non sono ancora resi noti, ma sicuramente Erodogan tutto vuole, tranne che Assad riprenda il controllo dei territori presi dall’opposizione. Ma se la Turchia, paese Nato, si ritrovasse a combattere contro le forze di Assad e quindi contro la Russia di Putin, quali sarebbero le conseguenze? Sicuramente il conflitto si allargherebbe e si sposterebbe sul fronte Assad/ribelli e il nemico comune che adesso tutti nel mondo dovremmo combattere, lo Stato Islamico, continuerebbe a risiedere indisturbato nei territori che già possiede in Siria, con qualche raid statunitense, ma senza un reale oppositore sul campo. Rimarrebbe aperto soltanto il fronte iracheno, dove le milizie curde sono adesso ben equipaggiate e appoggiate dai raid della coalizione a guida USA, le quali recentemente hanno liberato la città yazida di Sinjar, nel Kurdistan iracheno, e che piano piano avanzano nel nord dell’Iraq.

Per cui l’unica soluzione al dramma siriano è quella di intavolare una trattativa tra Assad e i ribelli, al fine di permettere una maggiore coesione per combattere sul campo, quello che è il nemico di tutti, l’Isis. Appoggiare militarmente una parte piuttosto che un’altra, sicuramente non aiuta, anzi peggiora la situazione di un paese che è in guerra da cinque anni e vede milioni di persone scappare e arrivare alle nostre porte, gridando aiuto. Le Nazioni Unite stimano che quasi 40,000 nuovi profughi si sarebbero ammassati al confine siriano con la Turchia, nei giorni scorsi, dopo i bombardamenti di Aleppo, dove adesso si trovano più di 350,000 civili asseragliati tra raid russi ed esercito di Assad che punta all’assedio della città. L’inviato Onu per la Siria, Staffan de Mistura, ha dichiarato che i negoziati non sono terminati, e che le discussioni tra le parti restano aperte. Proprio per questo i negoziati riprenderanno il prossimo 25 Febbraio a Ginevra. Molti analisti ritengono che i negoziati daranno scarsi risultati, anche perché la politica americana appoggia i negoziati, ma rimane ancora poco attiva. Staremo a vedere cosa produrranno i prossimi negoziati, considerata la gravità della situazione mediorientale, riversata nel completo caos, con interessi e alleanze ancora poco chiari. Ci si auspica almeno, che si possa raggiungere il consenso per un fronte comune , contro lo Stato Islamico, la vera e reale minaccia per l’Occidente.

Danilo Lo Coco



[1] Balanche F., “The opposition wanted to make Aleppo and Idlib province the base of a free Syria”, Washington Institute think tank, 2016
[2] Hoyakem, E. , “Syrian rebels face collapse amid Russia-led advance”, International Institute for Strategic Studies, 2016
[3]Goncharov S., “Are russians afraid of war against Isis?” http://intersectionproject.eu/article/society/are-russians-afraid-war-isis

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