domenica 15 novembre 2015

Parigi in fiamme: l'11 settembre dell'Europa

- EDIZIONE STRAORDINARIA -

Parigi in fiamme: l'11 settembre dell'Europa

Dedicato alla collega Valeria Solesin,
 per non dimenticare!


LA CRONACA. Gli spari, le urla, la paura e le lacrime nei volti dei francesi. Parigi ripiomba nel terrore e continua a grondare sangue. É il secondo atto di un copione andato in scena pochi mesi fa. L’Hexagone è ancora una volta sotto attacco e resta l’obiettivo privilegiato del terrorismo islamico. Per la Francia, il 2015, è l’annus horribilis. Dalla strage di Charlie Hebdo dello scorso gennaio agli attacchi di venerdì 13 novembre il terrorismo islamico ha continuato a farsi strada e a mietere vittime. Una storia lunga un anno che inizia il 7 gennaio con l’attentato, ad opera dei fratelli Kouachi e il loro fiancheggiatore Amedy Coulibaly, alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo in cui morirono dodici persone, mentre undici rimasero ferite. Nel mese di febbraio, un altro allarme. Questa volta ad essere aggrediti furono tre militari di servizio davanti a un sito della comunità ebraica di Nizza. Nelle settimane successive è la volta dell’attentato poi sventato alla chiesa di Villejuif nella periferia di Parigi che si è concluso con  l’arresto dello studente Sid Ahmed Ghlam in possesso di un arsenale di guerra e pronto ad attaccare. In giugno, un uomo veniva decapitato nella periferia di Lione da un malintenzionato di origini arabe con lo stesso modus operandi jihadista. Si scoprirà, poi, che in realtà il movente era di natura personale. Tuttavia l’estate non ha fermato le offensive del terrorismo islamico. Il 24 agosto su un Tgv, un treno ad alta velocità in viaggio da Amsterdam a Parigi, il silenzio dei passeggeri viene interrotto da colpi di kalashnikov. L’attentatore, un marocchino simpatizzante per l’estremismo islamico, viene però bloccato da tre soldati americani che si trovavano sul treno. La strage è sventata. Così come sventato è l’attacco contro i militari francesi in nome della jihad da parte di un uomo arrestato mercoledì scorso a Tolone, nel sud della Francia. Venerdì si scatena l’inferno. Parigi è sotto assedio. Prima uno scoppio nei pressi dello Stade de France, dove era in corso l’amichevole tra Francia e Germania. Un uomo che aveva tentato di entrare si fa esplodere davanti alla porta dell’ingresso D. Il boato risuona all’interno dello stadio, poi un’altra esplosione e il presidente François Hollande che stava assistendo alla gara viene portato via dalle forze di sicurezza. Tre kamikaze si fanno esplodere provocando tre vittime. La strage si consuma a pochi chilometri dallo stadio, tra il X e l’XI arrondissement. A pochi passi dal bar 'Le Carillon' e dal ristorante 'Petit Camboge' tre persone scendono da una Seat Leon di colore nero ed esplodono una serie di raffiche sui clienti dei due locali che si trovavano ai tavolini posti all'esterno. Muoiono 15 persone e altre 10 restano ferite gravemente. Passano pochi minuti e davanti alla pizzeria 'La casa nostra' si consuma un’altra tragedia. Alcuni uomini escono da un'auto Seat di colore nero, probabilmente gli stessi dell'attacco delle 21.25, e esplodono raffiche di fucili automatici. Il bilancio è di 5 morti e 8 feriti lievi. È, però, all’interno del teatro Bataclan, dove era in corso un concerto della band americana Eagles of Death Metal, che si consuma una vera e propria carneficina. I terroristi fanno irruzione all'interno della sala, uccidono decine di spettatori e ne prendono in ostaggio oltre un centinaio. Tre terroristi si fanno esplodere, uno viene ucciso subito dopo l’irruzione delle teste di cuoio francesi. Il bilancio è pesantissimo: i morti sono 89 e i feriti in modo grave restano tantissimi. Sparatoria anche davanti al ristorante 'La belle équipe', nel XI arrondissement. Un gruppo di uomini mitraglia i clienti seduti in terrazza. Nello stesso momento, un kamikaze si fa esplodere davanti al ristorante 'Le comptoir Voltaire' su Rue Voltaire. È un attacco alla civiltà e Parigi piange i suoi morti. 
I PRIMI PROVVEDIMENTI. Uno dei primi provvedimenti adottati, nella notte stessa dei fatti terroristici, è stata la deliberazione da parte del Governo dello stato di emergenza, misura di ordine e sicurezza pubblica che in Francia è stato adottato solo tre volte in passato e che non è stato adottato, ad esempio, ad inizio anno per la strage di Charlie Hebdo. Lo stato di emergenza è una misura eccezionale che consente al potere politico e, per esso, ai Prefetti, di adottare misure eccezionali in materia di ordine pubblico, tra cui provvedimenti fortemente limitativi della libertà personale, come limiti alla circolazione ( coprifuoco), divieti di adunanza e addirittura, su disposizione del Ministro dell’Interno, anche gli arresti domiciliari; misura tanto eccezionale da avere una durata temporanea di 12 giorni – al pari dello stato d’assedio – prorogabile dal Parlamento fino a sei mesi. Da notare che, inoltre, il Presidente della Repubblica francese, secondo quanto previsto dall’art. 16 della Costituzione della V Repubblica, può disporre di poteri eccezionali di carattere quasi “dittatoriale” che possono spingersi fino alla rottura o, meglio ancora, alla sospensione della Costituzione stessa, consentendo al Presidente di potere disporre della concentrazione di tutti i poteri dello Stato ritenuti necessari, tra cui dunque anche il potere legislativo ed il potere giudiziario.
LA POSIZIONE DELL’UNIONE EUROPEA.  Il 19 Gennaio 2015, i 28 ministri UE degli affari esteri hanno condannato senza riserve le atrocità, le uccisioni e violazioni dei diritti umani commesse da parte dello Stato islamico e altri gruppi terroristi in Siria, come in Iraq, e da parte del regime di Bashar al-Assad in Siria. Gli Stati membri dell'UE, durante la riunione all’EEAS (Europeanexternalaction service), era determinata a contribuire agli sforzi internazionali per sconfiggere questi gruppi terroristici, determinando sanzioni. L’EEAS, nata col trattato di Lisbona e creata nel 2010, è il servizio presieduto dall’Alto rappresentante, nonché vice-presidente della Commissione europea, organo esecutivo composto dai rappresentanti dei governi di ogni Stato membro. Il mese successivo, i programmi del nuovo Alto rappresentante Federica Mogherini, hanno comportato dei risvolti strategici inserendo la lotta al terrorismo all’interno del piano “Counter – Terrorism: International cooperation and Initiatives in 2015”. In questo senso, il piano dell’UE si vuole legare alle Nazioni Unite, mostrandosi come una entità regionale sotto il comando dell’organizzazione internazionale, e non come Unione di paesi sovrani. La risoluzione A/RES/68/303 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, segna la rotta della politica estera europea, richiamando ogni Stato alla mediazione, alla prevenzione e risoluzione pacifica del conflitti. In questo senso, l’Unione si presenta agli occhi dell’ISIL come un attore diplomatico, capace di dichiarazioni e sanzioni, che sono più un messaggio di buona intenzione per gli Stati membri più “virtuosi” e per gli alleati della NATO, che una minaccia per i destinatari. A questo punto, considerando la posizione assunta durante quest’anno contro lo Stato islamico, bisogna analizzare i due maggiori limiti autoimposti all’interno dell’articolo 42§1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in merito alla politica di sicurezza e di difesa comune:
La politica di sicurezza e di difesa comune (CSDP) costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune. Essa assicura che l'Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. L'Unione può avvalersi di tali mezzi in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. L'esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri.
In primo luogo, bisogna notare che questo articolo non vincola gli Stati a sviluppare in seno all’EEAS un programma di difesa, anche perché le azioni indicate non fanno neppure riferimento ad una politica difensiva/offensiva. Ciò è la conseguenza del fatto che l’Unione europea è composta da Stati sovrani, aventi differenti “mezzi civili e militari” da mettere a disposizione, ma soprattutto aventi differenti programmi di politica estera, motivo per cui pur assemblando i primi risulta improbabile mobilizzarli per esaudire un interesse che sia unico ai 28 paesi dell’Unione. In secondo luogo, l’articolo, lasciando ampio margine alle capacità dei singoli stati, il trattato esclude il concetto di comunità sul quale l’UE dovrebbe fondarsi. Il senso di “comune” viene aggirato per tre ragioni. Innanzi tutto, l’UE, componendosi di stati con diverse capacità, fonda la sua azione sul contributo volontario di ogni membro. Secondo, la Danimarca ha sempre affermato di non volersi direttamente vincolare agli accordi derivanti dalla CSDP, e i paesi scandinavi, seppur non dichiarandolo, da anni abbracciano questa posizione defilante. Terzo, gli Stati membri mostrano un impegno altalenante nel partecipare alla costruzione di un piano condiviso da tutti, preservando le forze militari per la difesa interna. Questo spiega le difficoltà al fine costruire una politica estera comune, e ancor di più a trasformarla in azione difensiva. L’Alto rappresentante ha il compito di mettere insieme tutte le voci e sintetizzarle in un programma comune. Il fatto che in svariate dichiarazioni ufficiali l’EEAS si sia schierato dietro la trincea delle Nazioni Unite è più un messaggio di impotenza che di etica. In queste ore Federica Mogherini, cosciente dei limiti presenti e imposti dai trattati, a Vienna ha affermato:
E 'un altro giorno triste. […]Parigi ieri, il Libano il giorno prima, Russia ed Egitto due settimane fa. Questo ci dice molto chiaramente che siamo insieme in questo. Europei, arabi, Est e Ovest, tutta la comunità internazionale è influenzata dal terrorismo.[…]La migliore risposta a questo è superare le nostre differenze, creando la pace in Siria.
Se in dieci anni non esiste in pratica una politica di difesa e comune, nei fatti riuscirci su scala internazionale sembra una esortazione. In Europa per il momento “no tabout defence, not about common”.

EVOLUZIONE DEL TERRORISMO: LA NASCITA DELLO STATO ISLAMICO. La crisi sociopolitica che a partire dal 2001 ha coinvolto Siria ed Iraq e le strategie, giuste o sbagliate, della coalizione internazionale, hanno creato le condizioni perfette per un ritorno in grande stile della formazione jihadista, una sorta di continuum tra il modello terroristico di Al-Qaeda e quello del nuovo Stato Islamico (ISIL). Successivamente al ritiro dei militari USA in Iraq, il gruppo terroristico (ISIL) iniziò la sua attività di ascesa diventando così uno dei maggiori gruppi jihadisti al mondo in grado di progredire militarmente e di condurre battaglie militari convenzionali su due fronti, quello siriano e quello iracheno, affermandosi come un gruppo militare militanteLa guerra civile in Siria è stato il primo test importante a cui lo Stato Islamico dovette sottoporsi, il quale inizialmente supportò i gruppi jihadisti in lotta contro Bashar al-Assad per poi successivamente prendere parte come protagonista principale alle azioni jihadiste, cambiando il suo nome in Islamic State of Iraq and the Sham, conosciuto, per l'appunto, come ISIL (Islamic State in Iraq and the Levant)Oggi, analizzare il problema del terrorismo, quello che ha colpito in Medio Oriente e che adesso colpisce il cuore dell'umanità, significa studiare a livello politico e geografico la sua evoluzione, differenziandolo dal terrorismo di Al-Qaeda sia per strategia che per obiettivi. Ma andiamo con ordine. Il "capolavoro" politico dell'ISIL è stato quello di "eliminare" dal suo acronimo il termine "IL" e diventare, così, Stato Islamico (IS) dando forma a quella utopia regressiva e sanguinaria insita nel suo codice deontologico, in modo da incitare a combattere non più per una causa messianica e qaedista, ma creare un vero e proprio "Stato" all'interno del quale poter governare secondo i dettami della shari'a. A differenza di Al-Qaeda, che ha sempre preferito una lotta al nemico globale e una forma di terrorismo di lungo termine dove non era importante il controllo di un territorio, questa prospettiva cambia totalmente, con l'idea di creare un Governo costituito da una propria sede centrale in Siria, precisamente a Raqqa, dotato di veri e propri uffici e distaccamenti, e un sistema di propaganda molto più efficace. L’IS è stato in grado di impadronirsi dei fondi della banca centrale di Mosul, applica tasse sulla popolazione che controlla, ha goduto dei beni confiscati ai cristiani e, non da ultimo, ha accesso all’acqua. Questa nuova prospettiva politica coinvolge attori provenienti da tutto il mondo, i cosiddetti foreign fighters desiderosi di essere parte integrante di uno "Stato" e lottare per un obiettivo presente. La maggioranza di loro arriva dall' Inghilterra e, appunto, dalla Francia dove circa 1500 giovani (su un totale di 5000 combattenti stranieri europei) provenienti dalle banlieue, vita di strada e piccole devianze, tra cui molte donne e minori, ricercano l'ideologia che dà forma a questa entità antagonista. La strategia visiva è un'altra componente importante del nuovo terrorismo: gli ostaggi, vestiti di arancione, non a caso lo stesso colore dei prigionieri di Guantanamo, vengono uccisi secondo tecniche ben precise e utilizzando i più comuni canali mediatici. La propaganda dell’IS ha una doppia funzione: una interna, con cui si mira a soggiogare la propria popolazione ed una esterna, con cui si vuole terrorizzare i nemiciIl progresso del nuovo terrorismo sta anche nel aver cambiando il modo di selezionare gli obiettivi; non più simboli del potere o dell'ideologia occidentale come avveniva in passato, dove le forti immagini delle Twin Towers crollate sono ancora parte integranti della nostre coscienze. Lo Stato Islamico ha lanciato un nuovo modus operandi che si concretizza in obiettivi precisi, considerati luoghi di eccesso, come ristoranti, teatri, musei, luoghi di vacanza e redazioni giornalistiche, tutti collegati con l'attentato all'aereo russo della Kogalymavia in Egitto, dove esercita la sua influenza il gruppo di Ansar Bait al-Maqdis che un anno fa ha cambiato il suo nome in "Provincia Islamica del Sinai". Dunque, dire "Parigi come Tripoli e Beirut" è un indice per spiegare che il terrorismo si è chiaramente trasformato ed è ancor più libero di agire incondizionatamente in quei territori dove si dovrebbe prevenire la sua espansione. Una politica programmata e globale che sorvoli i molti interessi in questione, cosi come un'intelligence coesa in scala internazionale possono determinare alcune delle soluzioni che seriamente contrasterebbero lo sviluppo dello Stato Islamico. O forse, al momento, è solo utopia.
CONCLUSIONI. Al di la degli aspetti di cronaca, pur tuttavia necessari a una corretta rappresentazione dell’ accaduto, si rendono necessarie alcune riflessioni. Nonostante le difficoltà argomentative (esasperate, com’è evidente, tanto da una partecipazione emotiva – a tratti imbarazzate – quanto dalle tuonanti conclusioni dei vari analisti politici improvvisati, dei sociologi in erba e degli strateghi coi denti da latte), è fuor di dubbio che gli atti terroristici, più che della volontà di Allah, siano espressione della volontà di uomini. Sono uomini ad aver pianificato e ad essersi adoperati, e non profeti. Tali uomini mangiano, dormono, hanno brama di donne e di potere e, quindi,  stuprano, fanno propaganda, distruggono i monumenti, odiano la storia e il diverso e, si badi, a poco varrà lo sdegno suscitato dalla loro appartenenza alla specie umana, perché, volenti o nolenti, siamo costretti a constatare la realtà della loro aberrante umanità. Ma un altro elemento connaturato all’ umanità – per parafrasare Aristotele, che ci ha insegnato la nozione di zoon politicon –  è la sua socialità, e, quindi, propensione alla politica: neppure i martiri della gloria di Allah contravvengono a tale dato di fatto, essendo essi stessi ascrivibili a un soggetto che si autodefinisce “Stato Islamico”. Cionondimeno, “politica” e “stato” sono considerate grandi conquiste della cultura occidentale, tant’è vero che, da Machiavelli a Kelsen, lo “Stato” viene considerato come la più grandiosa e perfetta espressione di “ comunità politica”.
Tuttavia, la storia può venirci in soccorso: all’ indomani della Grande Guerra, la disfatta e la conseguente dissoluzione dell’ Impero Ottomano furono salutati dai potentati locali di Siria, Iraq e Palestina come l’ occasione che la storia stava loro offrendo di costituire uno stato arabo unito, libero, esteso dal nord della Siria fino allo Yemen. Nulla di tutto ciò ebbe luogo: alla breve apparizione del Regno Arabo di Siria seguì un protettorato britannico ( su Palestina e Iraq) e un mandato francese su Siria e Libano. La République si era resa protagonista di un atto di imperio verso l’esterno insieme all’alleato britannico, come testimoniano gli accordi segreti di Sykes-Picot (conclusi invero tra il 1915 e il 1916, ben prima della fine delle ostilità in Europa). Tali accordi non sono nulla di più di una spartizione dell’area. La Francia lascerà definitivamente la Siria nel 1946. Seppur smorzata dalla forma di “protettorato” o “mandato della Società delle Nazioni” la “ promessa non mantenuta” è all’ origine della grave instabilità dell’ area, aggravata dal pesante risentimento suscitato dalla formazione dello Stato di Israele, nel 1948, presso quei potentati locali, arabi, per lo più di fede islamica.
Bisogna partire da qui, per capire gli errori dell’Occidente nell’area mediorientale; per capire che lo Stato Islamico, gli attacchi terroristici contro il “nemico lontano” non sono frutto di una contrapposizione ideologico-religiosa tra Islam radicale e Occidente, quanto più la conseguenza, o meglio ancora, l’effetto aberrante di una politica internazionale occidentale prevaricatrice, contraddittoria ed ambigua.
 Hanno collaborato:
Rosario Fiore, Cultore di Diritto Pubblico Comparato all’Unipa.
Gabriele Messina, Presidente Istituto Mediterraneo Studi Internazionali
Massimo Parisi, Davide Daidone, Maria E. Argano, ricercatori dell’Istituto Mediterraneo Studi Internazionali.

Nessun commento:

Posta un commento