mercoledì 23 settembre 2015

La riforma dell'esercito giapponese e la fine del pacifismo costituzionale

#Pensatodavoi

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 La riforma dell'esercito giapponese e la fine del pacifismo costituzionale



La delicatissima questione della riforma delle Forze Armate giapponesi ha fatto si che la comunità internazionale puntasse i riflettori sul Paese del Sol Levante. In un’esposizione agli osservatori che dura fin dalla fine dello scorso giugno[1], il Giappone ha lasciato presagire una svolta epocale, che è finalemnte arrivata qualche ora prima dell’alba del 19 settembre, quando la Dieta ha approvato un pacchetto di leggi che permettono all’esercito nipponico di operare all’estero.
È stato necessario un iter legislativo lungo quattro mesi[2] perché il Primo Ministro Shinzo Abe vedesse approvato tale pacchetto di leggi: pur avendo una solida maggioranza nelle due Camere, il Primo Ministro ha dovuto fronteggiare un ampio dissenso, manifestato non soltanto da parte dell’opposizione, ma anche da parte di diverse associazioni di cittadini, le quali, affermando la propria condanna della riforma, hanno dato voce alle  preoccupazioni  per  il rischio  di un eccessivo coinvolgimento del proprio Paese in futuri conflitti internazionali,  ricordando le devastazioni causate dalla sconfitta durante la Seconda Guerra Mondiale.  Dal canto suo, Abe ha dichiarato che tale riforma sarebbe stata indispensabile per poter affrontare possibili minacce provenienti dalla “nemesi” giapponese, la Cina.

Il pacifismo costituzionale giapponese

A prescindere dalle paure, più o meno fondate, del popolo giapponese, queste norme sono tacciate di incostituzionalità in quanto violano l’articolo 9 della Nihonkoku Kenpō, la Carta costituzionale giapponese. Il primo comma di tale articolo dichiara che il Giappone rinuncia all’utilizzo della forza come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, mentre il secondo, sancisce l’abolizione formale delle forze armate e la perdita del diritto di belligeranza. L’articolo in questione ha da sempre presentato notevoli problemi di interpretazione in quanto in contrasto persino con i principi generali del diritto internazionale, che consentono a qualunque Stato sovrano il diritto all’autodifesa; questi dubbi crebbero nel 1951, quando Giappone e Stati Uniti ratificarono il Trattato di Pace, attraverso cui veniva consentito agli Americani lo stazionamento di alcune truppe e basi militari sul territorio nipponico, con l’espediente di esercitare, a favore del Giappone, il diritto di autodifesa in caso di aggressione. Inoltre, nel 1954, con un provvedimento della Dieta, vennero istituite delle Forze di autodifesa giapponesi le quali, in buona sostanza, presentavano una struttura tipica delle forze armate tradizionali, poiché disponevano di truppe di terra, marina ed aviazione. Già in merito all’illegittimità costituzionale di tali Forze vi era stato un primo dibattito, in cui alcuni giuristi obiettarono che l’art. 9 non comportava affatto una rinuncia totale alla guerra, bensì solo agli eventi bellici di aggressione[3].
La svolta di Shinzo Abe: “L’autodifesa collettiva”
Nella notte tra il 18 e il 19 settembre la Dieta ha approvato delle norme che consentono la partecipazione dell’Esercito Nipponico a missioni militari in territorio straniero e non semplicemente entro i confini nazionali, a supporto degli alleati  (soprattutto statunitensi), andando ben al di là, come abbiamo visto, dei limiti del dettato costituzionale. Sarà possibile, dunque, una partecipazione diretta alle missioni di pace dell’Onu più rischiose (e non solo con un ruolo marginale come era avvenuto nel 2003 durante il conflitto iracheno), utilizzare propri mezzi per intercettare missili balistici diretti contro alleati, nonché una partecipazione a missioni per la liberazione di ostaggi di nazionalità giapponese o alleata e persino intervenire in conflitti bellici in aiuto di Paesi alleati qualora vi fossero implicazioni per la sicurezza nazionale. Del resto Shinzo Abe già nel 2012 aveva promesso che sarebbe intervenuto per modificare la Carta costituzionale nipponica, che come è noto fu imposta al suo popolo dallo SCAP (Supreme Commander of Allied Powers) guidato dal generale statunitense MacArthur durante l’occupazione del Giappone, all’indomani della sconfitta nella Seconda guerra Mondiale.
In questi settant’anni, però, i rapporti tra il Paese del Sol Levante e gli U.S.A. sono mutati radicalmente: paese occupato e paese occupante sono diventati strettissimi alleati, soprattutto nel mantenere l’egemonia nel continente asiatico e fronteggiare le potenze “rosse”, Russia e Cina. Ed è proprio contro la Repubblica Popolare Cinese che il Giappone ha in atto un lungo conflitto in merito alla sovranità di alcune minuscole isole, ma dall’enorme valore strategico, le isole Senkaku/Diaoyu.
E siffatta scelta belligerante del premier Shinzo Abe sancirà sicuramente una svolta nella politica estera del Paese nei confronti del colosso cinese, ma, come ritengono i suoi stessi connazionali, si tratterà di una svolta verso il conflitto armato?

Francesco Sasso


[1] Japan’s Proposed National Security Legislation — Will This Be the End of Article 9? 国家安全保障基本法案 九条の終焉か in “The Asia-Pacific Journal, Vol. 13, Issue. 24, No. 3, June 22, 2015”.

[2] Il Gabinetto del Governo Abe sottoscrisse questo pacchetto di legge da presentare alle due camere il 15 Maggio.
[3] Gianmaria Ajani, Andrea Serafino, Marina Timoteo, Diritto dell’Asia orientale, Utet Giuridica, Torino, 2007,
pp.161-164.

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