giovedì 30 ottobre 2014

Ebola: il coraggio della verità

#lavoceinternazionale

L'approfondimento settimanale di I.ME.SI.

Ebola: il coraggio della verità

a cura del
Prof. Francesco Scarlata
 Docente di malattie infettive presso l'Università degli studi di Palermo

Come spesso accade in Italia, dall’ampia trattazione di un argomento sui media sfuggono alcuni elementi essenziali alla comprensione della problematica.
Ebola (dal nome di un fiume africano) è un virus dei pipistrelli e delle scimmie africane che si è adattato alla specie umana e può trasmettersi da uomo infetto ad uomo sano attraverso  la contaminazione di cute lesa o di mucose (congiuntivale, orofaringea, genitale) sia lese che integre con  sangue o secrezioni (saliva, feci, urine, fluidi genitali, etc..).In teoria quindi la trasmissione potrebbe essere evitata con l’adozione di grossolane precauzioni e indossando dei semplici guanti.
Purtroppo abbiamo visto come decine di operatori sanitari si siano ammalati pur indossando dispositivi di protezione individuale ben più efficienti, inclusi gli “scafandri” delle infermiere americane che assistevano il paziente deceduto a Dallas.
L’elevata contagiosità dell’Ebola dipende dalla sua alta virulenza (cioè capacità di indurre malattia), così che piccolissime quantità del virus, presente anche su oggetti o alimenti contaminati da secrezioni dell’infetto sono in grado di trasmettere il contagio e la stessa protezione con “scafandri” non esclude la contaminazione durante il processo di svestizione e di discarica dei dispositivi di protezione a perdere.
Inoltre le linee guida internazionali, adottate a metà ottobre anche dal Ministero della Salute italiano, considerano a rischio anche chi, pur senza alcun contatto, si sia avvicinato a meno di un metro ad un paziente con Ebola. E’ lecito pertanto supporre che, malgrado le rassicurazioni sulla non trasmissibilità del virus per via aerogena (cioè inalando con il respiro particelle virali disperse nell’aria sotto forma di aerosol), non vi siano certezze a proposito.
Viene inoltre ripetuto fino alla noia che il virus non si trasmette durante il periodo di incubazione e che pertanto debba essere considerato possibile fonte di contagio soltanto chi inizia ad avere sintomi.
Tuttavia tale asserzione (che d’altra parte non mi risulta ad oggi poggiare su dati virologici significativi) contrasta con quanto è da tempo ben noto nelle altre malattie infettive (dall’influenza alle malattie esantematiche, dalle gastroenteriti alle epatiti) laddove senza dubbio alcuno la maggiore contagiosità si ha nella seconda parte del periodo di incubazione quando una già ampia replicazione microbica non è ancora contrastata dalla produzione di anticorpi.
D’altra parte se l’infetto ancora senza sintomi non può trasmettere il virus, per quale motivo l’efficientissimo servizio sanitario dell’esercito americano mette in quarantena tutti i suoi militari di ritorno dalle aree di epidemia?
Un altro interrogativo che è lecito porsi è quello relativo al livello di rischio Ebola per la Sicilia e all'efficienza delle nostre strutture sanitarie di fronte ad un caso probabile o accertato di infezione.
In atto la possibilità che un paziente con Ebola giunga in Sicilia è di certo un evento molto più improbabile rispetto ad altre regioni italiane od europee che hanno voli diretti o comunque intrattengono rapporti più stretti con le aree di epidemia (Liberia,Sierra Leone,Guinea). Gli stessi immigrati che giungono sulle nostre coste, ancor che la provenienza sia difficilmente tracciabile (mancanza di documenti di identità, false dichiarazioni, etc..), sbarcano dopo un viaggio attraverso il deserto e un soggiorno sulle coste libiche di diverse settimane o mesi, ampiamente superiore ai 21 giorni di massima incubazione.
Bisogna tuttavia ammettere che l’operazione Mare Nostrum (“ servizio informale di taxi sul mare”, come affermato da una Commissione UE) ha portato non soltanto ad un aumento dell’immigrazione clandestina ma anche ad una notevole accelerazione dei tempi della migrazione dall’Africa Nera alle coste nord-africane e da qui in Sicilia per cui non si può escludere che focolai di Ebola possano verificarsi nei campi profughi di quella terra di nessuno che è diventata la Libia e in questo caso la Sicilia diverrebbe da regione europea a bassissimo rischio a ventre molle dell’importazione del virus in Europa in quanto la nostra “frontiera” marittima non potrebbe filtrare i casi come si cerca oggi di fare in ogni parte del mondo con i controlli allo sbarco in porti e aeroporti.
Per quanto riguarda infine l’eventuale isolamento di casi sospetti o accertati (questi ultimi in attesa di essere trasferiti allo Spallanzani di Roma, unico centro deputato alla loro cura) non mi risulta che negli ospedali siciliani vi siano posti letto con i criteri di sicurezza biologica da tempo codificati per le febbri emorragiche virali, alle quali la malattia da virus Ebola appartiene. Ad oggi non sono neppure pervenuti i dispositivi di sicurezza individuale dal cui assemblaggio deriva l’ormai ben nota bardatura dei sanitari predisposti all’assistenza degli ammalati o dei sospetti.

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